Un reportage intenso che non è un mero esercizio di Talento – quest’ultimo il quale, peraltro, non potrebbe essere messo comunque in discussione – ma una ulteriore dimostrazione dello spessore umano che possiede la figura di questo fotoreporter: ancora una volta Capatti gioca con il bianco & nero mostrando tutta la sua delicata sensibilità senza banalizzare le tematiche e i contesti delle immagini.
Parma, 9 Aprile 2016 – Quando si ha il privilegio di confrontarsi con il Talento puro (quello con la maiuscola) è doveroso che gli si rendano i meritati onori, in un paese (l’Italia) dove sono solitamente in pochi a riconoscere la bravura e l’abilità altrui.
Educare, Riabilitare, Essere. La ritrovata redenzione nella profondità delle immagini di @SandroCapatti: Condividi il Tweet
L’inaugurazione del reportage di Sandro Capatti intitolato “Teatro a 360° – Educare, Riabilitare, Essere”, svoltasi in Strada San Nicolò a Parma, non fa che confermare quanto l’autore sia un vero e proprio “gigante”. E non solo nel campo della Fotografia. Dalla mostra, organizzata da Abili allo Sport in collaborazione con Un_type Co-Creative & Gallery e che è inserita nel circuito off del “Parma 360 – Festival della Creatività Contemporanea“, traspaiono visibilmente tutta l’umanità e la sensibilità di un uomo che è davvero un artista del nostro tempo.
Come giustamente sottolineato da Salvo Taranto, titolare della Libreria Ubik di Parma che ha presentato l’incontro, « Capatti si muove solo quando sussistono validi e importanti progetti nel campo del sociale ». E “Teatro a 360°” nasce proprio dalla spinta vitale dell’autore nel voler raccontare ciò che avviene in quei laboratori teatrali che si svolgono all’interno di Istituti Penitenziari italiani. La narrazione si dipana attraverso la forma del reportage fotografico: tecnica capace di catturare il pubblico e condurlo attraverso quel viaggio che è il teatro visto come strumento di rieducazione.
La riabilitazione diventa così vera e propria redenzione, sociale e morale. Le persone sul palcoscenico e i luoghi della realtà dove il teatro ha iniziato a prendere vita per poi seguitare a svilupparsi perdono piano piano il peso specifico di una realtà – quella degli Istituti penitenziari – capace di segnare per sempre le esistenze di coloro che per sfortuna, anche solo temporaneamente, sono costrette a confrontarvisi. Agli occhi del pubblico che osserva, tutto si scontorna per essere restituito sotto forma di una percezione che resta però tangibile, perché non ovattata dalla stampa e dai media.
In quel grande ed importante palcoscenico teatrale che è la vita stessa ogni persona porta in scena ogni giorno il proprio spettacolo. E se per alcuni di noi può essere un sogno, per altri la sceneggiatura possiede risvolti agrodolci e la via della speranza e della redenzione, umana e sociale, può passare anche attraverso la realizzazione di un progetto come questo, in grado di aiutare soggetti deboli, cioè quelle persone disagiate a causa di un handicap o le persone disadattate perché espulse anche momentaneamente dal consorzio sociale e recluse in un Istituto di Pena, avendo violato la legge e le norme primarie che regolano la convivenza civile.
Un progetto cui tengo molto, anche sofferto da alcuni punti di vista e che per me possiede una carica emotiva elevatissima. Perché il problema delle strutture può essere messo in evidenza con dei libri testuali; ma portarlo all’attenzione del pubblico con le immagini, stando a contatto con i ragazzi e le persone che vivono quotidianamente queste problematiche è una dichiarazione forte che può servire a far conoscere il valore di questi laboratori teatrali e le persone che con impegno vi lavorano ogni giorno.
Il “dove” un luogo astratto ma “vissuto” attraverso il palcoscenico della finzione teatrale oppure quello reale della vita, rappresentato da una strada, un carcere, un centro psichiatrico, una sede di lavoro; ogni posto cioè in cui vi sia, anche tra le pieghe più dure, un grande senso di umanità, magari sommersa, ma comunque in grado di parlare e suscitare emozioni; un luogo in cui vi siano persone che soffrono e altre che cercano di alleviare quella sofferenza, dando la speranza anche mediante la realizzazione di un piccolo sogno come può essere, appunto, “il teatro”.
Nella realizzazione del suo reportage Sandro Capatti ha chiesto la collaborazione del Ministero di Grazia e Giustizia, dell’ufficio DAP (ufficio competente per gli istituti penitenziari italiani) e del Ministero della Sanità: che non si abbia a che fare con un mero esercizio di stilistico lo si evince anche da questo, oltre che da un altro rilevante dettaglio, cioè che vi sono voluti ben tre anni di gestazione prima che il progetto vedesse la luce. E questo nonostante il Talento di Sandro gli consenta – per sua stessa ammissione – una certa dimestichezza nel fermare le immagini con il suo obiettivo dato che, prima di scattare con la reflex, lui scatta con la mente. Ma la lunga e accurata riflessione interiore che trascorre tra il concepimento interiore e l’esito finale non è che l’ulteriore dimostrazione dello spessore umano che possiede la figura di questo fotoreporter. Che non si limita solo a “giocare” sapientemente con il bianco & nero, ma mostra attraverso le sue immagini tutta la delicata sensibilità di cui è dotato, senza mai banalizzarne tematiche e contesti.
Informazioni per il pubblico: TEATRO A 360°: EDUCARE, RIABILITARE, ESSERE Reportage fotografico di Sandro Capatti Periodo di apertura: 9 Aprile – 15 Maggio, dal Lunedì al Venerdì dalle 9 – 18, Sabato e Domenica su richiesta; Dove: Un_Type Co-creative gallery; Mappa: Strada San Nicolò 7 Parma; Contatti: +39.0521.206076 – info@untype.it; Website: http://www.untype.it/events/teatro360/; |
Per sei anni fotoreporter di redazione al Corriere canadese di Toronto, Sandro Capatti è autore di numerosi reportage di carattere sociale in Eritrea, Togo, Benin, Darfur, Etiopia, Europa dell’Est. Fotografo professionista (A.I.R.F.), collabora come corrispondente per Ansa e Fotogramma, dopo il disastro nucleare di Chernobyl ha curato una mostra dal titolo “Sguardi”, con scatti realizzati nella “zona 30” ad alta contaminazione. Ha ideato, svolto e sviluppato numerosi progetti fotografici sempre a sfondo sociale, ultimo dei quali “Una luce per la memoria, una luce per la libertà” (Fedelo’s, 2015). Oggi è caporedattore della rivista Sani Today (Abili allo Sport).